Sesso e commissioni (parte 3)

Se il pezzo che segue dovesse piacerti, per favore spargi la voce.

Dove eravamo rimasti?

Ambrosetti mi disse: “Voglio che la ABC123 – la compagnia gestrice di fondi a cui pochi davano soldi – mi procuri qualcuno che sposi Natalia. Pagherò il marito diecimila euro. L’unica cosa che deve fare quest’uomo è presentarsi alla cerimonia. Mi prenderò cura del ristoraten e pagherò per il pranzo, l’abito bianco ed i festeggiamenti. Poi il marito potrà tornare a nascondersi nel buco da dove è apparso.”

“Sei pazzo – gli dissi – non accetteranno mai.”

“Hanno già accettato.”

Ricordo che rimasi senza parole. Non dissi niente per almeno trenta secondi.

“Cosa vogliono in cambio?”

“Un paio di milioni sul portafoglio di quello sfigato per almeno un paio d’anni. Si può fare.” Lo sfigato era uno dei soci della compagnia. Un uomo che perdeva soldi e capitali da anni.

“Alle solite condizioni?”

“Ovvio. Mi prendo l’uno e mezzo per cento all’anno. Quindi in due anni 60 mila euro. Mi ripago dei costi e ci guadagno qualcosa.”

“E se lui, il marito, se la vuole trombare?”

“È il marito. E Natalia è una gran bella figa. Buon per lui. A me basta che lei sia a disposizione.”

Ambrosetti sa come essere romantico.

Il commerciale del fondo senza speranza aveva un lontano cugino, un tizio superpalestrato e squattrinato, che avrebbe potuto fare la parte dello sposo.

La cosa fu fatta per bene. I due vennero fatti incontrare e vennero pure prese delle foto.

Il matrimonio venne celebrato in Italia, in una bella chiesa medioevale a Volterra, un bel sabato di luglio. Una quarantina d’invitati. Abito bianco e ristorante godereccio. Servizio fotografico di qualità. Ambrosetti voleva essere sicuro che tutto apparisse genuino, in modo da non avere discussioni con le autorità italiane.

La giornata gli era costata, tra compenso per il lontano cugino del commerciale e i festeggiamenti, intorno ai 35 mila euro. Era ancora in profitto.

Natalia ottenne il suo visto e, per quel che ne so, non rivide mai più il marito.

Luigi, tra un’amante e l’altra, vide ancora Natalia per un annetto. Forse qualcosina di meno. Poi i due andarono per la loro strada.

Al termine dei due anni Ambrosetti ritirò i due milioni. Anche per i suoi bassissimi standard, il fondo faceva così schifo che andava a violare la quarta condizione: quanto rende al cliente?

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Un milione di euro l’anno facile facile

Se il pezzo che segue dovesse piacerti, per favore spargi la voce.

I fondi di investimento hanno bisogno di capitali per poter esistere. Alcuni fondi sono gestiti da persone così in gamba, così capaci che i soldi gli piovono addosso.

Per fortuna, sono una piccola minoranza.

Dal 30 al 40 per cento dei fondi sono decenti e tutto il resto fa cagare.

Il fiduciario che sa il fatto suo si occupa solo dei fondi da diarrea.

Stiamo parlando di gestori disperati, pronti a concedere tutto pur di avere un po’ di soldi.

È questa gente che mi chiama. Come se fossi un spirito degli antenati, vengo interpellato.

Domanda: perché mi hanno interpellato? Cercano soldi per un fondo esistente? O per un portafoglio tutto nuovo?

Tempo fa, per esempio, mi è stato chiesto di aggiungere 50 milioni ad un portafoglio che aveva già raccolto 30 milioni, ma da cui i capitali stavano uscendo. Perché stavano uscendo? Loro mi dicono: “I tempi sono duri.”

Io non so neanche perché ci provano ad uscirsene con delle boiate del genere. Così come una fotografia vale più di mille parole, un grafico vale più delle mille stronzate uscite dalla bocca di un gestore. Il valore del tuo fondo scende quando il valore di altri fondi sale? Probabilmente non sei il figo che dici (speri?) di essere.

Detto tra noi, il fondo dei Gianni e Pinotto luganesi, proprio in questi giorni sta andando particolarmente male. Con il mercato che, nei primi due mesi del 2019, è salito del 10 per cento e più, loro sono riusciti a fare +1%. Fenomeni. A quanto pare, dei 17 milioni che avevano ad inizio anno (quando il fondo era partito) tre se ne sono già andati. Giovedì mi ha chiamato il loro commerciale. Niente presentazioni. Mi ha mandato un file Excel con i calcoli per una commissione extra (una stecca in parole povere) che mi competerebbe dovessi mettere dei soldi su quella cagata di fondo. Vedremo.

Torniamo alla storia dei 50 milioni. Per i gestori si trattava di una scommessa. Volevano aumentare le masse per attrarre le banche con un fondo più pesante. Le banche di solito non guardano mai a fondi troppo piccoli. Per attrarle ci vuole una certa dimensione. Se i fondi fossero tette, alle banche piacerebbero grosse.

Non importa perché mi hanno chiamato. Delle loro intenzioni non me ne faccio niente. Le mie decisioni di investimento sono sempre guidate dai miei quattro principi per decidere dove e quanto investire.

Probabilmente i miei clienti non ci avrebbero guadagnato tantissimo, ma io potevo portarmi a casa il 100 per cento delle commissioni di gestione. Il 100 per cento: la mia parte e la parte dei gestori. Qui si parlava del 2 per cento sui capitali investiti. Di solito me ne sarebbe spettato lo 0,80%. Su cinquanta milioni vuol dire 400 mila euro l’anno. Prendendomi tutto il 2% mi sarebbero entrati 1 milione di euro. Gli ho dato i 50 milioni, li ho lasciati lì per due anni e poi ho cominciato a toglierli. I risultati facevano così schifo che andavano a toccare il principio di scelta numero quattro: quanto rendono ai miei clienti.

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Amo le merdine

Se il pezzo che segue dovesse piacerti, per favore spargi la voce.

Per avere i miei “soldi degli altri”, i fondi mi devono pagare. Devono darmi una fetta della torta.

Quanto sia grande la fetta dipende da fattori interni ed esterni alla compagnia.

Un fattore interno, probabilmente il più importante, è da quanto io li conosca.

Primo incontro? Nomi nuovi? È la classica situazione dove mi devo affidare alla mia esperienza ed al mio intuito.

Badata bene, il mio intuito è ben esercitato e i miei sensi per stronzaggini da gestore incapace sono stati affinati da anni di attività in questo settore. Tuttavia, nel contrattare con qualcuno semisconosciuto ci sono sempre dei fattori di rischio, fattori che potrebbero impedirmi di ottenere il massimo possibile.

La medaglia ha due facce: quello che vale per me, vale anche per la mia controparte.

Loro non mi conoscono e, magari, non hanno ancora molta esperienza nell’avere a che fare con un fiduciario ticinese agguerrito.

Tutt’altra storia se la relazione è invece di lunga data. Non ci sono piu’ misteri. Loro conoscono me ed io conosco loro. L’unica variabile che conta è quanto siano bravi nel loro mestiere..

Molto bravi? Poche commissioni. Merdine? Ogni giorno è Natale.

Possono aver passato ore a preparare quella benedetta e francamente inutile presentazione. Possono essersi scervellati su quel grafico che non ho neanche guardato. Possono aver discusso all’infinito sul paragrafo tre pagina due della presentazione che non ho letto e che non leggerò mai. È tutto inutile. Se sono cosciente di quello che siete in grado di fare e di quale sia il vostro limite è su quello che punterò.

Nulla sarà mai detto direttamente. Siamo tutti troppo educati per questo.

Giusto qualche menzione su quello che stanno facendo altri fondi o il mercato.

“Sono sicuro che le cose miglioreranno. Gli ultimi quattro anni sono stati certamente sfortunati.”

Questa è una delle mie frasi preferite. Gli dici che sono dei cazzoni, che sono tutti andati meglio di loro, che sono gli ultimi della classe, ma lo fai con perfetta gentilezza.

Ci sono anche quei casi dove posso tagliare corto anche con le finte gentilezze. Gestisci fondi per 200 milioni? Cinquanta arrivano da me?

Sei mio.

Puoi illuderti quanto vuoi. Puoi pensare che sei il superfigo tra i superfighi.

Non lo sei.

Sei mio.

Zitto e paga.

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Un buon fiduciario ama i fondi sfigati

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Perché solo un fiduciario puo’ apprezzare ed investire i soldi degli altri in un fondo che ha poche possibilità di dare rendimenti sensibili o che, in parecchi casi, potrebbe far perdere dei soldi agli investitori / evasori fiscali.

Il motivo è molto semplice: al fiduciario piacciono questi fondi sfigati proprio perché nessun altro è così idiota da volerci mettere i propri sudatissimi soldi. Non in cose del genere. Non consapevolmente. Non direttamente. Non lo vuole fare il singolo investitore che preferisce dirigere i propri risparmi verso qualcosa di provato, testato e con un nome riconoscibile. Non lo vogliono certamente le banche, perchè anche loro si rendono conto che quello che hanno di fronte ha poche possibilità di aver successo. Un secondo problema con le banche è che queste hanno montagne di soldi da muovere e tendono a preferire fondi ben capitalizzati e corposi. Questi portafogli stranezze non sono mai molto grandi.

Quindi, alla fine, rimaniamo solo noi: i fiduciari.

Salvatori di fondi e di gestori incapaci.

Se il prezzo è giusto.

Finalmente, a questo punto, dopo la tortura delle presentazioni, comincia quella che per me è la vera negoziazione.

Non più sale enormi.

Au revoir presentazioni con grafici e fotografie.

Addio giovani assistenti che provano a dire la loro, ma perdono sempre contro il capo logorroico.

Adesso ci troviamo in una stanza piccola dove il fiduciario è persino autorizzato a fumare e, se si usa un programma, non sarà più Power Point. Power Point è per sfigati. Il programma sarà Excel. Si deve poter far dei calcoli, cazzo, altro che grafici.

Adesso siamo in due o tre, non in cinquanta.

Adesso si parla in italiano. Se la compagnia è quella giusta ci sono anche puntate sul dialetto.

I due schieramenti (loro ed io) hanno le idee molto chiare. Loro vogliono darmi quello che, dicono, pagano a tutti i fiduciari e sparano una cifra. Io, ovviamente, so che sono stronzate. Non esiste una commissione che viene pagata a tutti i fiduciari. Ognuno contratta quello che puo’. Nella mia testa, quello che danno agli altri non è MAI abbastanza. I miei soldi sono molto più fighi.

Voglio sempre una fetta più grossa.

Quanto grande la fetta non dipende dalle possibilità di successo del fondo. La semplice realtà di questo incontro vuol dire che non sono riusciti a convincere le banche. Se sono lì, seduti intorno ad un tavolo con me, vuol dire che già altri hanno determinato quel fondo non andrà da nessun parte, se non giù.

Non c’è problema. Io sono amico di tutti e sono di bocca buona.

Quello di cui ci si deve rendere conto è che la mia bocca deve essere nutrita a suon di commissioni.

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State lontani dai fondi strani

Se il pezzo che segue dovesse piacerti, per favore spargi la voce.

Il mercato finanziario è inondato da migliaia di fondi d’investimento.

Il rischio di perdersi è concreto.

Per orientarmi, anni fa mi sono costruito un semplicissimo file Excel che uso ancora per classificare i fondi che mi capitano di fronte.

Il file consiste di soli sei fogli, ogni pagina dedicata ad una categoria. All’interno di ogni foglio sono elencati i nomi dei fondi, il loro rendimento medio negli ultimi cinque anni e qualche contatto telefonico.

Le mie sei categorie.

  1. Fondi azionari normali
  2. Fondi azionari rischiosi
  3. Fondi obbligazionari normali
  4. Fondi obbligazionari rischiosi
  5. Un misto di quelli di sopra
  6. Fondi genuinamente strani

La mia esperienza personale è che la quasi totalità dei fondi rientrano nella categoria uno, tre e cinque.

Questo fatto statistico non fa nulla per smuovere le illusioni del gestore.

Dovete rendervi conto che il gestore è un essere umano ed il suo grande desiderio è quello di aver creato qualcosa di unico, un fondo brillante, qualcosa di mai pensato prima. Le presentazioni barra catechismi hanno lo scopo di portare le moltitudini di investitori sulla retta via. Come San Paolo sulla via di Damasco, il risparmiatore deve rimanere accecato da cotanta brillantezza.

Questo nelle idee del gestore.

Cosa volete che vi dica? Ognuno di noi ha dirito al suo sogno.

La mia esperienza personale è che molti amministratori di fondi sperano di far parte del gruppo “genuinamente strano”.

Vogliono aver avuto l’idea originale. Vogliono essere come quel genio che ha avuto l’idea dei bastoni per farsi la fotografia con il cellulare. Una grande idea, anche semplice, che ti rende milionario.

I gestori sono sicuri di aver visto qualcosa che gli altri non hanno notato. Sono grandi esploratori: i primi a vedere terre vergini. Cercano di venderti l’idea che il loro progetto è nuovo e certamente vincente.

Per fortuna loro, al di là delle loro illusioni personali e vaghe manie di grandezza, nella quasi totalità dei casi, la loro idea è semplicemente un’altra versione della solita minestra. Per esempio il Gianni e Pinotto di cui parlavo l’altra volta, giusto qualche giorno fa mi hanno presentato un’altra delle loro idee brillanti: il rifacimento, con un titolo diverso, di quello che hanno fatto negli ultimi 10 anni. È chiaro che la cosa non finirà bene (l’unica cosa che Gianni e Pinotto sono riusciti a fare negli ultimi 10 anni è perdere soldi), ma loro son contenti: pensano di avere creato qualcosa di originale ed unico.

Non è vero: è la solita minestra riscaldata.

Attenzione: il caso di Gianni e Pinotto è estremo. Qui parliamo di due eroi dell’incompetenza. Nel loro caso, la solita minestra si traduce con disastro. Il loro fondo numero 3 farà la stessa fine dei loro fondi 1 e 2: fallirà (dopo avermi pagato le mie commissioni).

Negli altri casi, la solita minestra riscaldata è un bene.

I fondi genuinamente strani tendono a finire male. Risultati pessimi, pochi investimenti e reputazioni mai veramente solide, completamente rovinate. I fondi strani non durano molto. Sono un po’ come le stelle cadenti. Brillano di luce propria per pochi attimi giusto perché stanno precipitando.

È un meccanismo che la natura conosce bene. Mutazioni genetiche appaiono ad ogni generazione. La maggior parte di queste mutazioni, però, sono aberrazioni dannose. La selezione naturale si assicura che queste aberrazioni scompaiano molto alla svelta dal patrimonio genetico di una specie.

L’aberrazione o muore subito o poco dopo.

La combinazione genetica vincente è estremamente rara e diventa vincente solo se le circostanze, l’ambiente, sono tali da garantirle il successo.

I gestori pensano spesso di avere tra le mani la mutazione che garantirà agli investitori e a loro stessi ricchezza e successo.

Non la hanno.

Quasi mai.

A Lugano, poi, non l’ho vista proprio.

In un certo senso è un peccato. La soluzione genuinamente strana è quella che rende di più.

Non all’investitore: l’investitore finirà quasi di sicuro per perderci soldi. Sarà fortunato se finirà quasi alla pari.

La soluzione strana è sempre quella che rende di più a me.

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Classe e Culo

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La mania dell’inglese è ovunque.

I gestori, però, vivono in un mondo a parte, così distante dal nostro da dare l’impressione di essere in una galassia lontanta lontana.

Questa faccenda dell’inglesismo viene portata a livelli sopraffini.

Come in tutte le esasperazioni, ad un certo punto si passa dal simpatico al ridicolo e dal ridicolo al triste.

“Il nostro aim è quello di generare alfa – anzi alpha, si sente che lo pensano con il ph – attraverso stock picking”. Cioè la loro speranza è quello di generare un rendimento superiore a quello del mercato attraverso un’accurata scelta dei titoli azionari. In altre parole se l’indice della borsa fa il 5 per cento in un anno, loro sperano di fare almeno il 6%. L’alfa è quell’uno per cento.

Ore e ore di queste stronzate.

Mi volgio soffermare anche qui per un momento. Dovete scusarmi, ma ho sentite queste frasi così tante volte che ormai mi ribolle il sangue anche solo a ricordarle.

Mostratemi qualcuno che, in cuor suo, non spera di fare più soldi possibili dai propri investimenti.

Quando compro un biglietto della lotteria, io spero di vincere una barcata di milioni.

Ovvio che speri di fare meglio del mercato, idiota. Ma come pensi di farlo? Non è dato sapere? Lo hai mai fatto in modo consistente? No, quella volta, 12 anni fa, quando hai fatto lo 0,3% in piu’ del mercato non conta. Quello era culo. Non classe.

Coglionazzo.

Un gestore bravo, uno di quelli che fa spesso meglio del mercato, a questo punto potrebbe dire: “La mia è classe, il suo é culo, cara la mia merdaccia”.

Che nervi. Meno male che fra pochi anni vado in pensione.

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Diapositive ed inglese

Se il pezzo che segue dovesse piacerti, per favore spargi la voce.

In una qualsiasi presentazione dove sono presenti un analista ed il suo capo, il povero analista non avrà mai minima speranza. Il giovanotto verrà presto relegato al ruolo di telecomando per il proiettore.

Qualcuno di voi si ricorderà delle diapositive. Fotografie che potevano essere proiettate sul muro.

Il maniaco delle diapositive – ne aveva migliaia – era sempre a caccia di ospiti per un aperitivo. Ignari della trappola in cui stavano per cadere, questi accettavano l’invito e si presentavano all’ora convenuta.

A metà serata, quando ormai era troppo tardi per salvarsi e scappare, veniva tirato fuori il famigerato marchingegno per la tortura: il proiettore.

Un qualche figlio piccolo veniva messo al comando dell’aggeggio per far muovere le diapositive ed il padre, o la madre, cominciava ad illustrare il perchè, il percome, il dove ed il quando delle fotografie.

Gli ospiti sorridevano educati, ma tremavano all’idea di quanto sarebbe durata la faccenda.

L’illustratore descriveva e descriveva, sottolineando le foto che aveva fatto lui – che erano molto più belle di quelle fatte dalla moglie – e dando immediatamente la colpa di un’immagine sfocata a qualcun altro. Quando veramente non poteva aggiungere più nulla ad una diapositiva diceva: “Avanti”.

Ca clank!

I proiettori erano molto rumorosi quando si andava da un’immagine a quella seguente.

Non doveva passare molto tempo prima che tutto quello che volevano sentire le vittime di questa presentazione fosse quel “Avanti” e quel ca clank.

Oggigiorno, il gestore, ovviamente, non direbbe mai “Prossima”. Dice: “Next”.

Purtroppo non c’è più il ca clank. Questo vuol dire che, in certi casi, il rischio di addormentarsi non è trascurabile.

C’è poi la questione dell’inglese.

Nel curioso mondo della finanza italo svizzera una scrivania, magicamente, si trasforma in desk. Tu chiami la società, chiedi della persona e qualcuno ti risponde: “Mi spiace, non è al suo desk”.

Wow!

Caboom!

Shazan!

Sarebbe impensabile per questa gente non aggiungere una spessa, zuccherosa glassa di espressioni anglosassoni in ogni loro discorso. Non dicono “Grazie”. Preferiscono “Thanks man”. Anche se siete una donna.

Frasi che sarebbero genuinamente comprensibili per quello che sono e che potrebbero essere espresse come “sfruttare la crescita del mercato”, vengono storpiate inutilmente. Così quello che lo spettatore – perché si è questo: degli spettatori – deve sentire è “market growth exploitment”.

È la stessa cosa, ma fa molto più figo.

La cosa è diventata talmente stancante che uno si stufa persino di far notare l’ovvio dietro una frase palesemente idiota. Mi stai dicendo che se il mercato cresce, il tuo fondo cresce anche lui. Stai dichiarando che le tue capacità di fare meglio del mercato sono ridotte o nulle. Stai confessando, in inglese, di essere un mediocre. Mi stai invitando a comprare un qualche indice che replica il mercato. Mi costerà meno e avrò gli stessi, se non migliori risultati.

Fool.

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La seconda fase delle negoziazioni: la presentazione.

Se il pezzo che segue dovesse piacerti, per favore spargi la voce.

Arriva il giorno della gran presentazione.

Eccoci tutti qua.

Seduti.

In una grande stanza.

Ad ascoltare un giovanotto che vorrebbe raccontarci tutte le qualità del portafoglio.

Ci sta provando con entusiasmo.

Con tutto il cuore.

Ma non ce la fa.

Viene interrotto ogni due minuti dal grande capo:

“Scusa se ti interrompo…”

“Se posso aggiungere una cosa…”

“Qui il grafico non la dice tutta…”

Maledetto grafico. Probabilmente, più tardi, a ospiti spariti, il grande capo cazzierà il giovanotto dimenticandosi di avergli detto che il grafico andava bene così com’era. Poi, lui non dice grafico. È una traduzione che ho aggiunto io per fare chiarezza. Le interruzioni sono più surreali.

“Scusa se I step in..”

“Qui il chart non la dice tutta…”

Il Chart!

Si procede in questo modo per un’ora abbondante.

Un vero fracassamento di palle.

Eppure questi incontri si potrebbero riassumere in poche parole: il nostro fondo è una figata pazzesca e noi siamo sicuramente i migliori dei migliori. Io sarei felicissimo di far finta di crederci.

E invece no. Loro devono insistere con le loro stronzate trite e ritrite: la gestione del portafoglio è innovativa, o diversa, o dinamicamente attiva (pronunciato actively dynamic, giuro) e altre baggianate del genere.

Tutte uguali, davvero.

L’unica cosa che è cambiata negli anni, è la presenza di un inglese pronunciato ed usato male. A differenza dei risultati effettivi di questi fondi “superfighi”, l’inglese cretino è in continua crescita.

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La prima fase delle negoziazioni: chi c’è e chi non c’è

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La prima fase delle negoziazioni tra me ed il gestore pottrebbe essere riassunta in una sola parola: inutile.

Stiamo parlando della descrizione della politica di investimento del fondo. Con frasi metà in italiano e metà in inglese (di qualità che va dal buono al maccheronico) mi verranno raccontate storie fantastiche di come tutti faranno una montagna di soldi.

È davvero una perdita di tempo. Potrei leggere il prospetto ed avere le stesse informazioni.

A questo bisogna aggiungere che il gestore ed io ci conosciamo probabilmente da parecchi anni. So come opera o come non opera.

Non importa. Bisogna concedere lo spazio necessario alla vanità di chi ci sta di fronte. Ahimé, la vanità di un gestore richede davvero tanto spazio.

Potete pensare alla presentazione di un fondo come ai primi cinque minuti di dialogo in un film porno. Non serve a molto, spesso è imbarazzante, ma è ritenuto necessario farlo prima di andare al nocciolo della questione.

L’incontro tra me e loro, di solito, si svolge negli uffici della società di gestione, spesso in una delle loro sale piu’ grandi.

Un proiettore è d’obbligo. Di questi tempi una televisione dallo schermo gigantesco collegata ad un computer è anche meglio.

Qualcuno,spesso un giovanotto, avrà preparato una qualche presentazione Power Point: grafici, tabelle con numeri ben visibili, proiezioni invariabilmente ottimiste ed una generale atmosfera di euforia.

Oltre che al sottoscritto, saranno presenti almento un altro quattro o cinque persone.

Un paio di analisti, di solito abbastanza giovani, sono d’obbligo.

Non mancherà il responsabile del fondo anche se quasi di sicuro entrerà con un paio di minuti di ritardo. Fa ovviamente tutto parte della messinscena: sono molto importante e ho milioni di cose da fare, ma mi degno di presentarmi a questo incontro.

Conosco questo gestore gran puttaniere. Letteralmente. Ogni mattina arriva nel suo ufficio, fa colazione a spese della compagnia, poi esce e va all’Oceano, uno dei tanti postriboli di Lugano. Dopo la trombata torna in ufficio per il pranzo per poi allontanarsi di nuovo. Come uomo è una merda, come gestore è un disastro. A me va benone. Da lui posso ottenere tutti i soldi che voglio, perché nessun altro sarà disposto a mettere dei soldi dietro nessuna delle sue idee bislacche. Uno così dovrebbe arrivare puntuale agli incontri, ma sarei sorpreso se lo facesse. Non credo sia mai arrivato puntuale a nessuna presentazione.

Ma sto divagando.

Altre persone che vi potete aspetttare a questi incontri sono uno o due commerciali dell’azienda. Loro preferiscono definirsi team marketing.

Rimangono dei venditori, anche se, considerata la qualità di alcuni dei fondi che devono provare a vendere, occasionalmente li si potrebbe anche definire eroi.

Quando siamo tutti seduti e ci siamo scambiati i cinque minuti di chiacchiere inutili sul tempo e sul campionato di calcio, la presentazione vera e propria può avere inizio.

Qui è quando inizia il mio calvario.

Sono andato a parecchie presentazioni: non sono né brillanti né originali. Certamente non mi aprono gli occhi sulle vie da seguire per avere successo nel mondo della finanza.

Il dover essere presenti ad una di queste riunioni, rimane ed è una questione di selezione avversa.Solo i peggiori le fanno.

Un fondo di successo, gestito da un gruppo di successo non sprecherà ilsuo tempo con un piccolo pesce come la Spizzi.

Innanzitutto,un fondo di successo, terrà il suo metodo ben segreto. Nel momentoi n cui dovesse parlarne con qualcuno, lo farà a tutt’altrolivello. È una di quelle situazioni dove ci scappa il libro o almeno un articolo per una rivista tecnica importante. L’autore vorrà essere sicuro che, nel momento in cui pubblica la sua strategia, non ci siano dubbi sul chi abbia avuto l’idea. Vorrà assicurarsi la sua eredità. Vorrà che gli altri gestori come lui vedano quanto è stato figo e brillante.

Purtroppo, in media, io non ho a che fare con questi brillanti venditori di Ferrari e Lamborghini.

I miei interlocutori sono commercianti di utilitarie di seconda mano.

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Le due fasi delle negoziazioni

Se il pezzo che segue dovesse piacerti, per favore spargi la voce.

Le negoziazioni con i gestori di fondi di investimento sono una rottura.

A questo bisogna aggiungere che, di fatto, gli unici con cui si deve negoziare sono i gestori che vanno dal “meno bravo” al”merda totale”.

Il mio sogno personale sarebbe quello di parlarsi chiaro, possibilmente via posta elettronica, così da non perdere tempo in viaggi ed incontri nulli.

In un mondo ideale, uno dovrebbe poter mettere a confronto i risultati ottenuti dal gestore in questione contro quello di altri gestori senza preoccuparsi di misurare le parole, senza dover tener conto delle normali regole di civiltà. Pane al pane e vino al vino per intenderci.

Vorrei poter passare un messaggio del genere: “Tu, come gestore, sei un po’ una merda. Davvero. Basta guardarsi in giro e ci si rende conto che sul mercato c’é gente parecchio più capace.”

“Non sei competitivo.” Guardandolo negli occhi continuerei: “Basta guardare i numeri. In quanto merda, nessuno ti darebbe mai dei soldi, perché non ne saresti degno.”

“In tutta franchezza tu e tutta la tua vanità meritereste di affondare. Io, però,ho un cuore generoso e sono di bocca buona e, soprattutto, ho accesso a quei capitali che possono tenere te ed il tuo fondo di merda a galla.”

“Se vuoi quei danari, mi devi pagare.”

Bello chiaro ed esplicito.

Sarebbe tutto così semplice.

Purtroppo la vita non è mai semplice.

Alla fine, per il rispetto dovuto a formalità e vanità di chi ti sta di fronte, le negoziazioni diventano molto più lunghe di quello che sarebbe necessario e si perde un sacco di tempo ed energie comportandosi come degli ipocriti.

La verità sottostante a tutti questi accordi (tu vuoi i soldi da me ed io sono disposto a darteli solo ad un certo prezzo, perché come gestore vali poco o niente) è chiara a tutti. L’importante è non menzionarla mai.

Non si può sottovalutare l’importanza del far salvare la faccia al vostro interlocutore.

Questo bisogno di salvare le apparenze, porta a dividere le contrattazioni in due fasi ben distinte..

Perché la Spizzi Sa riceva i soldi che le spettano è impossibile fare a meno di questi due momenti.

Personalmente, a me basterebbe la seconda fase e farei a meno della prima. Il gestore invece, soffre durante la seconda e si gode pienamente laprima parte.

Per il principio che tutti devono soffrire in egual misura, le due fasi sono imprescindibili.

© I Soldi Degli Altri

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